Dopo il grande successo riscosso qualche giorno fa dal mio primissimo video di finanza personale, sul canale YouTube di questo blog, ho capito una cosa importante. In un blog dedicato espressamente alle donne in gamba over 40, parlare di risparmio, investimenti e previdenza non è solo una cosa che interessa, ma è un dovere assoluto.
Gli aspetti finanziari incidono infatti direttamente sul nostro benessere, sulla nostra qualità della vita e sul nostro futuro. Perciò, parlarne ed essere sul pezzo su questi argomenti non è solo utile, ma anche assolutamente indispensabile e molto, molto chic!
Perciò, oggi sono lieta di presentarvi Marta, ingegnere appassionata di viaggi e fotografia che insieme a Francesco cura il blog di finanza e crescita personale guidaglinvestimenti.it.
Nell’articolo di oggi, Marta ci parla di un tema importantissimo: la nostra previdenza. E lo fa in chiave tutta al femminile, fornendoci alcune informazioni preziose che possono fare davvero la differenza per il nostro futuro.
Previdenza? It’s on us!
Noi donne sappiamo essere previdenti: programmare in anticipo la giornata, la gestione delle lavatrici, le vacanze. Tendenzialmente siamo delle pianificatrici nate!
Ed è per questo che è importante pianificare il nostro futuro in termini di previdenza sociale, o almeno essere consapevoli di quale sarà la nostra situazione finanziaria quando andremo in pensione.
Qualsiasi sia la nostra età, 20, 40 o 50 anni, il momento in cui iniziarci a pensare è adesso. Perchè se i nostri genitori hanno potuto godersi una sudata ma cospicua pensione beh….noi dovremo faticare un po’ di più. Ma nulla è perduto!
L’età della pensione
Innanzitutto andremo in pensione sempre più tardi: l’incremento dell’età pensionistica è in lento ma costante aumento negli anni, ed è destinato ad aumentare.
Se volessimo proprio farci del male, potremmo andare sul sito dell’INPS o, se siamo lavoratrici dipendenti sul sito del nostro fondo di categoria (ad esempio il fondo Cometa per chi lavora nel settore metalmeccanico) e fare una simulazione sia dell’età in cui andremo in pensione che della quota di pensione che ci spetterebbe.
Io sono un’ingegnere di 32 anni, e facendo un lungo respiro qualche settimana fa ho cliccato il fatidico “simula” sul sito del mio fondo di categoria (Cometa). Scoprendo che andrò in pensione a 67,1 anni e – rullo di tamburi – guadagnando il 70% di quello che il simulatore stima sarà il mio futuro ultimo stipendio!
Certo, è una simulazione e da qui al 2063 tutto può cambiare. Ma, in sostanza, quando avrò la libertà di dedicarmi alle mie passioni…dovrò ridimensionare le spese.
Ma come è possibile?
Questa situazione è legata al cosiddetto patto generazionale, ossia che sono i giovani a “pagare” le pensioni degli anziani.
Il problema è che, una volta, per ogni pensionato c’erano 3 lavoratori, il che consentiva di garantire delle pensioni senza grossi sforzi.
Oggi per ogni pensionato c’è una persona che lavora, e in futuro questo rapporto scenderò ulteriormente: ci saranno più pensionati che lavoratori. Questo è dovuto all’aumento delle aspettative di vita quanto alla riduzione del tasso di natalità.
E’ per questo motivo che dobbiamo sapere già oggi che la nostra pensione non ci consentirà di mantenere lo stesso livello di vita a cui siamo abituati. A meno che da non iniziare a pensarci oggi.
La pensione integrativa
Il primo strumento che può aiutarci ad aumentare la nostra futura pensione è costruirci già da oggi una pensione integrativa.
Questa si andrà a sommare alla pensione di anzianità maturata dagli anni.
La pensione integrativa si può fare in diverse maniere: ormai quasi tutte le banche o gli istituti di credito propongono dei piani pensionistici che consentono di mettere da parte mensilmente parte dello stipendio.
Prima di fare una scelta è bene però confrontare tutte le condizioni:
- il prospetto dei costi
- la classe di rischio del fondo in cui verseremo il contributo mensile: se si tratta di fondi azionari (quindi con maggior potenziale di crescita ma anche di rischio) oppure obbligazionari.
Stipulare una pensione integrativa ha un ulteriore vantaggio: la deducibilità dalle tasse. Come dire: anche lo Stato ha compreso l’importanza delle pensioni integrative nel futuro, e questo è un modo per incentivarle.
Il TFR: un jolly per chi fa un lavoro dipendente
Un’altra cosa di cui ci curiamo poco se siamo delle lavoratrici dipendenti è il TFR, di cui sapiamo poco o niente. Molti sentiti dire, ma poche notizie effettive.
Invece si tratta di un vero e proprio jolly: perché c’è differenza tra il lasciare il TFR in azienda oppure nel fondo di categoria (per capirci, nel mio caso il famoso Cometa di cui vi parlavo prima).
In primis: lasciandolo in azienda ci verrà restituito sotto forma di capitale al momento della pensione. Lasciandolo nel Fondo di categoria chiuso, invece, un massimo del 50% verrà restituito come capitale e il resto come pensione complementare.
Ma la somma di capitale che accumuliamo negli anni precedenti alla nostra riscossione, come viene nel frattempo gestita?
Lasciandolo in azienda non verrà investita, ma ci verrà garantito un interesse fisso minimo, ad esempio l’ 1,5% nel mio caso.
Investendolo nel fondo di categoria avremo invece la possibilità di scegliere diversi comparti di rischio che possono portare anche ad un guadagno annuo maggiore: e sulle lunghe tempistiche – quali quelle di un TFR – anche un punto percentuale di rendimento annuo in più si trasforma in….molti soldi, alla lunga!
Insomma, il TFR sono dei soldi sicuri che dovremo riscattare tra molti anni: non ne trascuriamo le potenzialità!
Fiscalmente poi è più conveniente lasciare il TFR nel fondo pensione di categoria: maggiore è il numero di anni di aderenza al fondo, maggiore sarà lo sconto fiscale.
Inoltre aderire ad un fondo di categoria chiuso dà una seconda possibilità: versare una pensione integrativa godendo del contributo datoriale della nostra azienda.
La previdenza complementare con i fondi di categoria
Versando la pensione integrativa nel fondo di categoria del TFR si gode di un beneficio: la nostra azienda contribuirà versando anch’essa una percentuale di tasca propria.
Per dare dei numeri: nel mio caso, versando in Cometa una percentuale anche piccola del mio stipendio (ma almeno l’1,2%) per il fondo pensione, l’azienda per cui lavoro verserà un ulteriore 2%. Cosa che non accadrebbe se lo facessi con un altro fondo o istituto di credito.
Il contributo datoriale e la sua entità cambiano di categoria in categoria: possiamo facilmente verificare sulla pagina web del nostro fondo di categoria quali siano le condizioni.
Insomma, la pensione integrativa è un’opzione da tenere in considerazione: inoltre, se si posseggono determinate caratteristiche, consente anche di anticipare l’età in cui andare in pensione.
Come? La risposta è RITA.
RITA – Rendita Integrativa Temporanea Anticipata
La RITA è una opzione di riscossione della pensione integrativa.
E’ una modalità di erogazione della pensione integrativa in maniera anticipata: in pratica ci consente anticipare la pensione fino a un massimo di 10 anni prima dell’età prevista e godere della pensione integrativa accumulata prima dell’età pensionabile.
Ci consente di riscattare totalmente o in parte la pensione integrativa accumulata purché soddisfiamo alcuni requisiti per accedere alla RITA.
Ma quanto dovrei mettere da parte di pensione integrativa per anticipare di qualche anno la pensione?
Ad esempio, per avere 1000 € di pensione integrativa al mese a 63 anni, quanto dovrei accantonare?
Ci risponde questa tabella che ancora una volta conferma: prima iniziamo a metter da parte una pensione integrativa, meglio è!
Ottenere RITA di 1000 euro fino alla pensione
Per avere 1000 € di pensione a 63 anni dovremo versare 65 € al mese se abbiamo 20 anni di età oppure 320 € se abbiamo 50 anni.
Ma se non rientrassimo ancora nei requisiti della RITA, quali altre opzioni potremmo valutare per andare in pensione in anticipo?
Se abbiamo un passato da universitari il riscatto della laurea è una di queste.
Riscatto della laurea agevolato
Si sente tanto parlare di riscatto della laurea agevolato, ma in sostanza conviene davvero?
Cerchiamo di fare una panoramica: in sostanza la massima convenienza in termini di anni che si riescono a riscattare c’è se ci siamo laureate presto, a 24 anni.
Il costo complessivo del riscatto di 5 anni di laurea agevolato è di circa 20000 €, pagabili anche in rate mensili in 10 anni, di cui però circa 5000 € riusciamo a recuperarli grazie a detrazioni fiscali.
In questa maniera riusciremo ad andare in pensione tra i 3 e i 5 anni prima del dovuto.
Ma che differenza c’è con il riscatto della laurea normale?
Che il costo di quest’ultimo è legato alla nostra RAL al momento della richiesta. Se, quindi, riscattiamo da appena laureati (con RAL bassa o addirittura nulla) il costo sarà limitato.
Se, al contrario, avessimo una RAL di 40000 € costerebbe circa 10000 € per ogni anno di università da riscattare. E’ anche vero, però, che la pensione di cui potremo godere sarà più alta rispetto a quella garantita dal riscatto della laurea agevolato.
Come dire: con il riscatto agevolato rispetto a quello standard paghiamo meno adesso, ma avremo anche una pensione più bassa.
Alla fine dipende molto da noi e dal valore che diamo alle cose: che sia agevolato o standard, fare un riscatto della laurea adesso richiede di impegnare un bel capitale di cui (facciamo corna!) potremmo anche non arrivare a godere, nella remota possibilità in cui qualcosa non andasse nel verso giusto.
D’altro canto, dato che auspicabilmente tutte arriveremo all’età della pensione, avere 4 o 5 anni di libertà in più potrebbe essere niente male.
Inoltre, qualora dovessimo non sfruttare il riscatto per andare prima in pensione non sarebbe tutto perso: quei soldi andranno a finire nella pensione stessa. In pratica è come se avessimo lavorato 5 anni in più!
A volte penso al mio lavoro (che adoro) ma mi chiedo: aa 60 anni avrò ancora la stessa forza e la stessa voglia? Per cui…se siete indecise sul riscattare gli anni della laurea, farsi questa domanda potrebbe dare un’indicazione preziosa!
L’ultima opzione per la vostra previdenza (che dovrebbe essere la prima): imparare ad investire
Oltre a tutte le possibilità che abbiamo visto in questo articolo, una buona abitudine che dovremmo affiancare a tutte queste è imparare ad investire.
Lo so, la finanza personale sembra qualcosa per cui non ci sentiamo proprio portate (almeno molte di noi): la sola parola la associamo a rischi, speculazioni, truffe.
Invece il viaggio nella finanza personale dovremmo, pian piano, intraprenderlo tutte: e non iniziando a comprare azioni o chissà cosa, ma iniziando a fare un bilancio delle nostre spese mensili, a ridurre i costi delle nostre utenze, a darci degli obiettivi di risparmio.
E solo dopo aver compreso qual è la nostra situazione, iniziare a capire cosa vuol dire investire e come potremmo farlo.
E’ una strada lunga, ma ve lo assicuro: piena di soddisfazioni, soprattutto sapendo che stiamo lavorando per dare un futuro migliore a noi stesse e, se ne abbiamo, ai nostri figli.
Insomma, dobbiamo rimboccarci le maniche: il futuro è nelle scelte che facciamo oggi.
Marta Cavaliere
Mi chiamo Marta, sono un ingegnere appassionata di viaggi e fotografia e insieme a Francesco scrivo il blog di finanza e crescita personale guidaglinvestimenti.it. Credo che imparare a gestire i nostri soldi possa fare la differenza nel nostro futuro, soprattutto per noi donne che siamo delle pianificatrici nate.
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